lunedì 9 settembre 2013

#18 Contaminazioni: Bulat Šalvovič Okudžava: il poeta-cantore dell’orrore e della compassione



Bulat Šalvovič Okudžava  (Mosca, 9 maggio 1924 – Parigi, 12 giugno 1997) è stato un cantautore e poeta russo di origini georgiane, esponente del genere musicale russo chiamato “Canzone d'autore”. Ha composto oltre duecento canzoni ed è stato pluripremiato per la sua poetica, impostata sul genere del canzoniere, poi ripresa da altri cantautori come il francese Georges Brassens. Fu conosciuto come poeta e bardo (cantautore) dopo gli anni cinquanta e considerato un pericolo per le sue poesie e canzoni: famoso all’estero e con l’impossibilità di pubblicare in patria. Si narra che Breznev, avesse espresso il desiderio della sua morte, consapevole però di aumentare ancor più la sua popolarità diffusa tra i russi che cantavano le sue canzoni per strada, nelle locande e nei bar, in particolare nelle fredde sere dell’inverno russo. Un poeta armato di chitarra e dotato d’ironia. Suo padre, attivista del Pcus, rivoluzionario della prima ora, cadrà vittima di una delle tante purghe: fucilato negli anni ’30. Sua madre, militante anch’essa, berrà l’acqua congelata del Gulag per 19 anni. Altri nove fra i suoi parenti furono fucilati e poi tutti riconosciuti innocenti. Bulat, appena diciassettenne, correrà ad arruolarsi volontario per difendere il suolo patrio dalla minaccia nazista e sarà più volte ferito. 







E aprirà gli occhi sulla guerra come alleata della superbia e dell’avidità e canterà della sofferenza esprimendo la compassione. 

GUERRA VIGLIACCA

Ah, guerra che hai fatto vigliacca!
I nostri cortili sono divenuti silenziosi.
I nostri bambini alzavano la testa,
diventavano grandi prima del tempo.
Si facevano appena vedere sulla via
e partivano: soldati, soldati...
Arrivederci, ragazzi! Ragazzi,
cercate di tornare indietro! (...)
Ah guerra che hai fatto vigliacca!
Al posto di nozze – distacchi e fumo.
Le nostre ragazze hanno donato
gli abiti bianchi alle sorelline. (...)

Il ritmo delle poesie ha una radice comune con le canzoni del bardo: parte dallo stomaco, attingendo alla tradizione dei canti, lenti prima e con picchi successivi in seguito, propri dei battellieri del Volga e delle nenie e dai racconti delle gesta degli eroi, degli amanti e della malattia, e quindi della vecchiaia e della morte. Bulat non offre teoremi e spiegazioni: esprime negli atti quotidiani l’orrore della guerra.

<<Non credere alla guerra, ragazzo,
non crederci, la guerra è triste,
è molto triste ragazzo,
la guerra è stretta come le scarpe

I tuoi bravi cavalli
non ci potranno far nulla,
tu sei tutto sul palmo della mano
tutto i fucili ti puntano.>>

/-/

E Bulat lo esprime con una tenera ironia che fa sorridere commossi. Il poeta confessa durante un concerto: «Quand’ho iniziato conoscevo tre accordi di chitarra, ma ora, dopo trentacinque anni di lavoro son migliorato... ne conosco cinque!»






Come cantare l’orrore e il terribile con dolcezza e compassione: 

Concerto a Parigi, 1995. Premi QUI



CANZONE DELLA FANTERIA

Scusate la fanteria,
se talvolta è così stolta:
sempre partiamo
quando sulla terra scoppia la primavera.
E con passo incerto
sulla scala che vacilla salvezza non c’è.
Solo salici bianchi
come bianche sorelle ti guardano andare

Non credete al tempo,
quando riversa piogge protratte.
Non credete alla fanteria,
quando canta balde canzoni.
Non credete, non credete,
quando negli orti gridano gli usignoli.

La vita e la morte
non hanno ancora saldato i conti.

A noi il tempo ha insegnato:
vivi come il bivacco, aperta la porta.
Compagno uomo,
è pur seducente la sorte tua:
tu sei sempre in marcia,
e solo una cosa ti strappa dal sonno.

Perché noi partiamo
quando sulla terra scoppia la primavera?

 /-/

Era scomodo e temuto Bulat perché ascoltato da chi non leggeva e cantato da chi aveva lo sguardo basso, rivolto alla terra che è il vero motore di ogni ribellione e rivolta del popolo russo.


IN GUERRA CONTRO UN PAESE STRANIERO


In guerra contro un paese straniero il re partiva.
Un gran sacco di gallette la regina gli preparò,
il vecchio mantello con gran cura gli rammendò,
tre pacchetti di sigarette e anche il sale gli fornì.

E le sue mani sul petto del re andò a posare
e gli disse, carezzandolo con sguardo raggiante:
“Suonagliele bene, altrimenti passerai per pacifista
e di far bottino di buoni panforti non dimenticare”

E il re vide che l’esercito stava in mezzo al cortile:
cinque soldati tristi, cinque allegri, e un caporale.
Disse il re: “ Non ci fa paura la stampa, né il temporale.
torneremo vittoriosi dopo aver sconfitto il nemico vile!”

Ma presto finì l’esultanza dei discorsi trionfali.
In guerra il re cambiò l’assetto delle truppe:
i soldati allegri senza indugio intendenti nominò
e i tristi, soldati li lasciò: “ Così non sarà male!”

Pensate un po’: sopravvennero poi i giorni vittoriosi.
Dei soldati tristi dalla guerra nessuno tornò.
Il caporale di dubbia morale una prigioniera sposò,
ma catturarono un gran sacco di panforti saporosi

Suonate, orchestre; echeggiate, canzoni e risate!
A mestizia effimera non ci si deve abbandonare.
Non aveva senso per i soldati tristi in vita restare
e poi non bastavano per tutti i panpepati.


/-/

E non poteva essere imprigionato o ucciso, perché esprimendo la compassione di un popolo per i suoi figli, la condizione di martire avrebbe amplificato il suo messaggio ancora oggi vivo e attuale.


Ricordo che il mio libro di poesie con immagini "Sogni sospesi" lo puoi trovare  QUI

lunedì 15 luglio 2013

#17 Contaminazioni: Il Genere Muto



Le donne hanno inventato l'agricoltura e contribuito a organizzare la raccolta razionale dell'acqua in gruppi associati dalla notte dei tempi. Le donne hanno creato e ricreato i luoghi sicuri per tutti, e hanno permesso anche ai maschi di tramandare nel linguaggio e nei segni, la storia e la biografia del gruppo e del clan. Nei secoli la titolarità e i nomi di coloro che hanno detenuto le tecnologie della parola e della memoria, sono stati i maschi.

La casa sicura che è stata da sempre fonte di vita, per la donna fu ed è anche la prigione oscura di catene imposte nella violenza fisica e nelle parole che ordinano il mondo e il tempo.

Le donne hanno cercato comunque autonomia nelle attività di produzione, di commercio dei manufatti della terra e della cultura e della memoria. Più di due miliardi di donne, dentro casa, come detenuti condannati all'ergastolo, in libera uscita solo con il promesso sposo per il matrimonio o accompagnato da un parente maschio per il funerale, detengono quella piccola economia che permette agli altri due miliardi e più di persone di lavorare sottocosto per i potenti del luogo e per i paesi tecnologicamente avanzati.

Da sempre in gruppi e a titolo personale le donne hanno cercato di porsi e ancora oggi e sempre di più, come titolari autonomi della propria soggettività: di disporre del proprio corpo e di poter dichiarare almeno il proprio stato di minorità.

Nadia Anjuman nata indicativamente nel 1980 è stata una poeta e giornalista afgana. Nel 2005, quando era ancora studente alla Herat University, pubblicò il libro di poesie dal titolo Gul-e-dodi ("Dark Red Flower"), diffuso immediatamente in Afghanistan, Pakistan e in alcune zone dell'Iran. Parlava di sé, di tutte e, senza offendere, lasciava apparire le emozioni e mostrava che anche una donna può parlare totalmente del mondo prescindendo da imposizioni millenarie. In più, assieme ad altre donne creò un circolo letterario di studi su William Shakespeare and Fyodor Dostoevsky.

 
Nadia Anjuman - Immagine presa QUI

E chiarì subito la questione:

SONO IMPRIGIONATA IN QUESTO ANGOLO

Sono imprigionata in questo angolo piena di malinconia e di dispiacere. Le mie ali sono chiuse e non posso volare.


Perché non si può parlare, ma la poesia è parola ancora prima del testo scritto, perché esce dal corpo:


NESSUN DESIDERIO PER APRIRE LA MIA BOCCA

[...]
La mia bocca dovrebbe essere sigillata.
Oh, il mio cuore, lo sapete, è la sorgente.
E il tempo per celebrare.
Cosa dovrei fare con un’ala bloccata?
Che non mi permette di volare.
Sono stata silenziosa troppo a lungo.
[...]
Io non sono un debole pioppo
scosso dal vento.
Io sono una donna afgana.
E la (mia) sensibilità mi porta a lamentarmi.

Perché le catene non possono contenere l'aria, il respiro e l'afflato poetico.


CATENE D'ACCIAIO

Quante volte è stata tolta dalle labbra
la mia canzone e quante volte è stato
azzittito il sussurro del mio spirito poetico!
Il significato della gioia è stato
sepolto dalla febbre della tristezza.

Se con i miei versi tu notassi una luce:
questa sarebbe il frutto delle mie profonde immaginazioni.
Le mie lacrime non sono servite a niente
e non mi rimane altro che la speranza.

Nonostante io sia figlia della città della poesia,
i miei versi furono mediocri. 

 
Immagine di David Walker presa QUI

 
Nonostante io sia figlia della città della poesia,
i miei versi furono mediocri...

E io dico felice archivio:

ma furono lo stesso ritmati
dal corpo del poeta,
che sente l'anima di un popolo
e di un genere tra i secoli e i continenti,
e che la trasmette con voce primordiale
nel ridefinire il mondo a cavallo del tempo.


Nadia Anjuman fu definitivamente ammutolita dal marito il 4 novembre 2005.



martedì 2 luglio 2013

*9 Special Guest: Pane e scrittura. La somma è più delle parti



Domenica 30 giugno 2013 alla Libreria Galleria delle Arti l'Universale - Via F. Caracciolo 12 – Roma, si è tenuta la presentazione del Libro “Parole di Pane” un progetto antologico di racconti sul cibo, promosso da Diana&Emma, nelle persone delle scrittrici Diana Sganappa e Emma Saponaro. I partecipanti, tra i quali il sottoscritto, hanno presentato un solo racconto, edito o inedito, avente ad oggetto un aneddoto sul cibo, frutto di fantasia, vissuto in prima persona o tramandato da un familiare di una passata generazione o di altro Paese.

Una corale testimonianza dei cambiamenti intervenuti nella società con riferimento al cibo.

I proventi dell'antologia sono destinati per scopi pubblici e sociali.

Le fasi di valutazione e di redazione del testo hanno coinvolto differenti professionalità e all'evento hanno partecipato critici letterari, prof.ri Universitari, ed è stato intervallato da esecuzioni pianistiche e teatrali.





Nella realizzazione del progetto, gli scrittori secondo competenza e possibilità sono intervenuti per l'allestimento e l'organizzazione dell'evento nelle sue fasi.
La premiazione dei cinque racconti che hanno ottenuto la preferenza di tutti gli autori secondo un rigoroso procedimento di autovalutazione, sono stato letti da attori e critici letterari con riflessione annessa sul cibo, la socialità, la storia e il presente.

L'incontro in presenza di ognuno con cui si era interloquito solo per via telematica e residente all'estero e in varie parti d'Italia, oltre ad essere stato commovente ed esaltante, ha offerto l'opportunità di mettere a nudo per pochi attimi alcune parti di sé per un ampliamento ulteriore sui diversi approcci e stili nello scrivere.

È apparsa la meraviglia di gioire di ognuno: scrittori già in opera, neofiti e professionisti per attività collaterali a quelle dello scrivere. Tutti assieme nell'offrire un lavoro corale.







Gli ingredienti del progetto, impastati a dovere e con una eccellente lievitazione, hanno offerto una variopinta esposizione di stili di scrittura con sapori sempre cangianti come il pane.

Il prodotto, gli autori e il pubblico sono usciti con qualcosa in più. Il tutto è stato felicemente eccedente rispetto alle parti. Generoso come il pane.


Il libro lo puoi trovare QUI