Colui
che comanda e che ha posizioni di responsabilità, prima di tutto,
non dovrebbe esprimere la compassione? E l'empatia non solo per la
rivendicazione di conflitti ma anche per coloro che sono più deboli
e muti?
All'uopo
prendo spunto dal brano “IL Presidente” del disco a 33 giri Celi
Fabio e Gli Infermieri – Follia.
Fu scritto nel 1969, e pubblicato nel 1973. Anticipa di due anni il
rock progressivo ed è già proiettato nel decennio successivo. Rock
costruito sulla base di due tastiere e sulla voce di Fabio Celi
(alias Antonio Cavallaro). Vi sono anche basi di musica classica
contemperate alla dolcezza della voce e delle melodie italiche,
simile ad alcuni lavori del Banco del Mutuo Soccorso.
Nel
1973 quando uscì per Studio 7, il disco che contiene sei brani,
venne immediatamente bandito dalla RAI, limitandone la distribuzione
a livello regionale.
Oggi
nel 2014 i capi, i leader, i presidenti italiani e stranieri parlano
in modo dichiarativo e pieno di intenti chiari, con una razionalità
di bambino nella fase anale che vuole estirpare il male, o popoli da
una nazione all'altra, o piccoli leader che vogliono espellere,
rottamare ed evacuare persone, idee, parole. O ancora novelli
cavalieri che stendono il fuoco purificatore del plauso, per azzerare
il vecchio putrido e marcio, che è sempre altro e fuori dalla
propria storia e dal proprio ambiente dal quale sono nati e
cresciuti.
E
parlano promettendo l'avvento della nuova era sempre lontana,
attraverso il loro entusiasmo, gesto, capacità. E tutto questo è
bello e nobile, ma è sempre il “proprio”, perché parlano di
“loro”.
Chi
comanda avrebbe l'onere e la facoltà di gestire risorse e mezzi per
il bene comune. Dovrebbe ascoltare gli ovvi conflittuali punti di
vista, conservando tutto, nonostante il mutamento delle condizioni di
sopravvivenza per garantire le possibilità di esistenza dignitosa.
Tutto
ciò non è ovvio, almeno negli ultimi secoli?
Il
leader e il Presidente non dovrebbero parlare anche e nonostante i
loro limiti? Non dovrebbero mostrare una compassione e attenzione da
parte delle forze che lo sostengono? Un senso che è proprio del suo
corpo e non in modo sacrale e carismatico, ma nel senso poetico: di
colui che assorbe e lo riverbera. Di colui che come il poeta lo
amplifica anche attraverso limiti e debolezza.
Il
senso lirico nella traduzione poetica del mondo non è forse la
matrice del sovrappiù di quello che potremmo essere ?
Propongo
un brano di questo lp, dal Titolo il Presidente e propongo il
testo ( di una modernità futura e di una dolcezza forse ancora non
recepita del tutto ):
È
da poco tempo, che io siedo qui
massima
vetta della società
E
vorrei ascoltare, la parola di chi
Mi
chiede pane, lavoro, e libertà.
Ma
non è che non voglio, è che non posso
mantenere
ora, ciò che promisi.
No,
non fate quei visi.
Vorrei
dir di si, a ciò che domandate
aiutare
te, aiutare tutti voi
purtroppo
non sono quello che voi credete
io
qui sono tutto, ma non sono nessuno,
che
posso farci, se mi hanno detto così
non
fare un passo, non ti muovere di qui
che
posso farci, se mi hanno detto di più
“ricordati, che
chi comanda non sei tu”.
Che
stupido sono, ho creduto
di
avere tutto, niente ho avuto
prima
di me, ognuno s’è venduto
ha
messo all’asta la sua patria
la
sua terra, la sua famiglia.
Per
sentire il brano premi QUI
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