Come si fa a
scrivere una poesia? Sia essa di ottimo stile, pacchiana, stupida,
manifestamente sciatta, originale?
Anche se si ha
l'erudizione di versificazione, retorica e stilistica, può apparire il blocco.
Se si pensa ad un compito, alla pubblicazione, all'esistenza di un pubblico
effettivo immediato, il foglio rimarrà bianco. Se si utilizzano riti
propiziatori stabili e se si programma il lavoro, il foglio forse rimarrà
bianco.
Se si forza la rima,
forse appariranno pagine sparse di righe in prosa, e questo non è un male. E
allora? Nel preciso atto del comporre che si crede poetico, forse non esiste
una regola, ma un criterio operativo (mutevole): lasciar andare il
"deve", affinché le emozioni non siano forzate.
Lasciar andare le
analisi per sentire il corpo fisicamente, non ontologicamente, o
soggettivamente, nel senso etico o erotico, magari dopo, ma proprio il corpo,
qui e ora.
Maurits Cornelis Escher, Drawing Hands
1948.
Lasciar
venire tutto quello che travolge dall'esterno.
Lasciar
venir il timore e la paura.
In seguito apparirà il
tempo delle riflessioni, analisi e correzioni. Ma non è un investimento, perché
non si hanno interesse e garanzie. Il premio è sempre uno: se stessi.
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